INTERVISTA: Matteo della Chiara

Chi è Matteo della Chiara? Quando e come nasce come fumettista? Ce ne parli?

Ho 26 anni e vivo a Gabicce Mare. Al termine delle medie ero molto contento di evadere dal provincialismo marcato che contraddistingue i piccoli comuni della penisola, quindi scelgo l’ITIS di Cesena. Alle superiori scopro che mi piace scrivere gli articoli di giornale. Mi iscrivo a scienze della comunicazione indirizzo giornalismo e mi fa schifo quasi nella sua totalità. Intanto conosco la meme, una ragazza decisamente stravagante. La mia morosa è sua amica e poco tempo dopo mi ritrovo a casa sua. Il salone principale è una stanza danzante: quadri di ogni dimensione appiccicati male male male coprono grandi affreschi protettori di ogni muro visibile a occhio, tutto condito da muffa galoppante che da terra cerca di raggiungere il cielo. Se avessi mai fatto una lista delle volte che nella vita ho percepito la magia, questo momento sarebbe sulla lista. La camera da letto ricorda il laboratorio di uno stregone: colori, disegni, assi di legno, cianfrusaglie, amuleti, vestiti, fotografie, sporco, vestiti ecc ecc ecc tutto governato dal caos, meraviglioso. Già scrivevo da un pò, e avrei desiderato subito lavorare con lei, ma timido e sommesso non dissi niente. Oltretutto mai avuto niente a che fare con sceneggiatura, fumetto e illustrazione. Alla fine fu lei a farsi avanti, “Io lo disegno e tu me lo scrivi” disse. Partecipammo a un concorso su Brian the brain di Martin, e vincemmo uno dei due premi in palio. Così nacque un fumettista.

I tuoi disegni, che siano piccole vignette o storie, sono molto interessanti e inquietanti. Da cosa trai ispirazione?

Come precisato sopra, i disegni li fa la meme. Oltre a quella per il concorso abbiamo realizzato due opere: la prima si chiama “I riti del tempio”, una ventina di vecchie tavole sconnesse con testi da rifare, quindi trovo un punto in comune tra tutte, riscrivo i testi con stampo ampolloso e prolisso (così da dilatare la letture) ma non troppo banale e stampiamo. In contemporanea iniziamo Moonbeam. Due anni travagliati per entrambi per finirlo. Poca fantasia e tante viscere. Ho scritto la sceneggiatura quasi esclusivamente pescando a secchi dalla melma fossile, dove penso chiunque affoghi le delusioni, le frustrazioni, gli annichilimenti del passato, ormai sprofondati e quasi dimenticati. Pezzo dopo pezzo riesumavo, incollavo e poi di nuovo, fino a concludere. Il tema ha dopo influenzato il tratto della meme, già talvolta ansiogeno e qui con sfumature oniriche.

Perché hai deciso di partecipare al Ratatà festival?

Da quel che so, ogni anno vi fate un gran mazzo e tirate su un gran bel festival. Mi basta questo.

Mandaci un saluto per Macerata e il Ratatà!

HOLA RA TA TÀ!

 

Michele Catinari