Intervista: Segnali di confine

Fra i molti protagonisti di questa quarta edizione del Ratatà, che si terrà a partire dal 20 aprile fino al 23 aprile, troviamo anche questo collettivo: Segnali di Confine. Da abili ficcanaso abbiamo deciso di rivolgere loro qualche domanda in modo da farveli conoscere meglio. Enjoy!

Vi presentiamo un gruppo di artisti creatori della rivista “Segnali di Confine” che potrete conoscere personalmente al Festival.

Vi accenniamo di seguito qualcosa sul loro conto per conoscerli meglio.

 

  1. Chi siete e in che cosa consiste il vostro lavoro?
    Siamo un gruppo di artisti e scrittori il cui nucleo è centrato nella provincia di Genova, città dove alcuni di noi frequentano l’università o l’hanno frequentata in passato. L’amore per la letteratura, la poesia e l’arte ha portato alcuni di noi, quello che poi è diventato lo scheletro della rivista (Giacomo Caruso, Glauco Piccione, Simone Dapelo), ad esplorare nuove ed alternative soluzioni per vivere ed affrontare la vita nel mondo, delusi come siamo dalla vita nelle città moderne e in particolare da Genova, la nostra vecchia e triste città; delusi dalle prospettive culturali sempre più commerciali, aziendali e volgari; delusi dal gretto e bigotto clientelismo e provincialismo che si riscontra nelle menti di molti italiani; delusi dal cemento e dall’inquinamento e dalla distruzione dell’ambiente.
    La nostra convinzione è che l’arte sia frutto di una coscienza nuova e che questa consapevolezza debba necessariamente essere unita alla vita quotidiana, nel senso di una Via spirituale, come possiamo vedere nelle discipline orientali. L’esperienza deve essere unita ala ricerca artistica, una prospettiva teorica ad una pratica, l’approfondimento individuale all’esplorazione di comunità o di gruppo. Siamo per i valori antichi e rigenerati a nuova linfa: solidarietà, ospitalità, vivere lentamente, esplorare l’arte nelle sue varie forme, amare e rispettare il prossimo, condividere con gli altri il frutto del nostro lavoro, apprendere qualcosa di nuovo dagli altri, sempre.
    Il nostro lavoro consiste nell’organizzare reading di poesia con musica di accompagnamento o solo di pura voce narrata presso teatri e musei. Ci occupiamo anche della rivista “Segnali di Confine” che è giunta al suo primo anno di vita ed è il mezzo nel quale confluiscono le nostre visioni in merito all’arte e alla vita, se pure nella loro eterogeneità.
    Abbiamo organizzato varie presentazioni della rivista presso gallerie e centri culturali, in varie città del nord Italia. È in corso di preparazione una mostra collettiva d’arte, fotografia e poesia.
  2. Cosa vi ha portato nel mondo dell’arte?
    La grande curiosità per la vita, la diversità e l’eterna gestazione e trasformazione alle quali sono soggetti tutti gli esseri viventi, nella loro reciproca relatività. La letteratura, la poesia, l’incontro col diverso, l’arte. Un bisogno insopprimibile di esprimere ciò che è latente, celato dentro allo spirito e che sgorga nelle sue più strane e insospettate manifestazioni, anche in seguito a disgusto o repulsione nei confronti delle storture del mondo. Ma che può essere anche il canto della gioia istantanea e della vitalità più prorompente.
  3. Cosa ne pensate del Festival Ratatà?
    È un saggio e originale luogo di incontro, fucina di diverse visioni del mondo dell’arte che riunisce artisti e persone per poter sviluppare un discorso proficuo di bellezza e rinascita dal quale tutti possiamo imparare qualcosa. La parola scritta è unità all’immaginazione visuale, la musica alle arti visive e narrative. Siamo felici di partecipare.
  4. Come mai avete scelto di partecipare a questo evento?
    Perché pensiamo sia importante aprirci alle diverse prospettive e condividere il nostro progetto con gli altri. Siamo sempre aperti al confronto e all’esplorazione di nuove vie nella vita e nell’arte.
    Speriamo di crescere nella comunità creativa originata dal Festival Ratatà.
  5. Quale messaggio vi piacerebbe comunicare attraverso le vostre “opere”?
    Bisogna essere liberi dalle ideologie, liberi dal pensiero massificato, liberi da slogan o facili promesse dei politici. Scavare nel mondo e demistificarlo, rivelarne i sotterfugi e i tranelli.
    Vedere le sfumature, e non il bianco-nero delle cose. Essere padroni del proprio mondo non facendosi prendere dal caos del cosmo, ma riappropriandosi dell’umanità che con solidarietà vede tutte le cose come sono, nel loro merito, nella loro forma o spirito, senza pregiudizi.
    Amare la natura, amare e rispettare la materialità delle cose. Il pensiero critico che permette di aprire nuovi spiragli. La poesia deve essere arte dei veggenti, come già diceva Rimbaud, che deve svelare e dire le cose che non vogliono o non possono essere dette, per timore della rispettabilità sociale o borghese. L’arte deve illuminare ed aprire nuove vie per approfondire la conoscenza della realtà, cambiare dal profondo l’uomo e non può permettersi di essere facile e leggero passatempo.