Fra i molti protagonisti di questa quarta edizione del Ratatà, che si terrà a partire dal 20 aprile fino al 23 aprile, troviamo anche lei: Serena Schinaia. Da abili ficcanaso abbiamo deciso di rivolgerle qualche domanda in modo da farla conoscere anche a voi. Enjoy!
Utilizzo sempre e solo inchiostro di china nero, pennelli rovinati, spazzolini da denti, pennini di bambù, ma anche rami, pietre, tutto ciò che possa aiutarmi a sporcare il foglio.
Serena Schinaia è nata a Taranto, vive e lavora a Roma. Ha studiato a Bologna, prima Filosofia Estetica, poi Illustrazione e Linguaggi del fumetto. I suoi disegni sono apparsi in diverse antologie nazionali e internazionali.
Lavora come disegnatrice freelance a Roma, dove ha anche uno studio di progettazione grafica di nome CO-CO.
Alla quarta edizione del Ratatà Festival presenterà “Un pezzetto alla volta dentro un punto nero che finisce col diventare tutto quello che c’è”.
Le abbiamo chiesto di parlarci del suo progetto:
“Un pezzetto alla volta dentro un punto nero che finisce col diventare tutto quello che c’è” è un progetto di ricerca artistica nato dalla volontà di sperimentare la relazione tra il mio segno, dato con l’inchiostro di china nero tramite differenti strumenti (rulli, pennelli, pennini di bambù, o più rudimentali spazzole e spazzolini) e strisce di carta di varie dimensioni, di solito scarti di stampa o di taglio tipografico. Questa sperimentazione confluisce in un’unica installazione in carta di grande formato, composta da più elementi, tutti disegnati a mano.
Il tuo stile è caratterizzato da forti contrasti, un segno deciso e dall’utilizzo del bianco e nero.
Sei sempre stata fedele a queste scelte o agli inizi ti sei immersa in altre sperimentazioni?
Come mai hai scelto di abbracciare queste caratteristiche e di privarti dei colori?
Quando ho iniziato, disegnavo con una linea sottile, leggera, quasi una linea chiara e utilizzavo molti colori (Cyclone, 2012). A volte eliminavo del tutto le linee di contorno colorando solo per riempimenti con i pastelli a cera. Lavorando alle mie prime storie a fumetti mi è capitato di eliminare del tutto i colori e di inspessire il segno, affinchè risultasse più espressivo e pittorico (Deriva/Drift, RamHotel, 2014). Credo che questo passaggio sia avvenuto in maniera piuttosto spontanea e pian piano è diventata la mia cifra stilistica, ciò che mi ha reso riconoscibile in un momento in cui le iper colorazioni e il segno molto grafico imperavano nel mondo del fumetto autoprodotto bolognese. Penso che questo sia l’approccio visivo più adatto rispetto al tenore delle storie che voglio raccontare in cui il testo è minimo, mancano i balloon, i personaggi non hanno mai un nome, spesso neanche un volto. Mi piace il racconto di sintesi e il bianco e nero mi è sempre sembrato il modo migliore per rappresentarlo. Da qualche tempo però ho introdotto la bicromia (Ceniza/Cenere, Ediciones Valientes, 2016) e anche delle campiture di grigi che mi permettono di aggiungere più profondità all’immagine (Vicolo cieco, Crisma, 2017).
Probabilmente sono alla ricerca di altri ritmi compositivi per raccontare storie nuove, altrettanto feroci.
Organizzi anche delle performance?
Sì, alcune delle opere che compongono le installazioni di “Un pezzetto alla volta…” sono prodotte all’interno di una situazione performativa in cui disegno dal vivo sull’improvvisazione sonora di Polisonum, un collettivo di ricerca artistica sul suono con cui collaboro. I ragazzi di Polisonum hanno trasformato il mio tavolo di lavoro in un vero e proprio strumento musicale che grazie alla presenza di sensori e microfoni trasforma i miei movimenti in suono. Il risultato è una mappatura di pattern sonori che tracciano una geografia di luoghi e paesaggi magmatici impastati nella china.
C’è qualcosa che ti ispira, che accompagna la produzione dei tuoi lavori?
La letteratura, la musica, il cinema, le palme al vento, le insegne luminose delle metropoli, le atmosfere.
Quanto è importante per te unire il testo alle opere? Ami leggere? Quali sono i libri a cui sei più affezionata?
Il testo per me è fondamentale, credo sia anche la parte più interessante del mio lavoro. Sia nella stesura delle storie che nel montaggio delle sequenze, cerco di creare un ritmo visivo che accompagni il testo senza renderlo descrittivo. Anche nel mio lavoro sull’astratto ritengo la scrittura centrale, non è un caso che “Un pezzetto alla volta dentro un punto nero che finisce col diventare tutto quello che c’è” abbia un titolo cosi lungo che funziona anche come concept, facilita la comprensione e aiuta il fruitore a comprenderne il processo di realizzazione oltre all’idea che è alla base del progetto. Amo il sottobosco letterario italiano contemporaneo, Genna, Vasta, Schillaci, ma anche i classici della letteratura, Pavese, Parise, Tondelli, in genere autori dalle biografie controverse. Leggo molta letteratura americana, Foster Wallace, Franzen, Carver, ma anche gli autori dell’Est Europa, tra cui Agotha Kristof che credo sia la mia preferita.
Nella biografia di Serena è presente questa frase: “I love music but I don’t disdain the silence.”
Le abbiamo chiesto che rapporto ha con la musica, quali sono i momenti nei quali essa è con lei e quali invece preferisce il silenzio e cos’è che l’aiuta di più durante la realizzazione delle sue opere.
La musica accompagna gran parte del mio lavoro, sia perché ne ascolto molta mentre disegno, sia perché ci sono dei dischi che mi aiutano ad immergermi nelle atmosfere di cui ho bisogno in quel momento per pensare a una storia o a un personaggio. Il silenzio invece, in modo paradossale, mi aiuta a capire il ritmo di una storia e l’andamento generale di un racconto.
In questo momento stai lavorando a qualche nuovo progetto? Di cosa si tratta?
A breve uscirà Crisma #2, antologia a fumetti prodotta da Lab Aquattro di Roma su cui ci sarà Vicolo cieco, la mia ultima storia breve a fumetti. Da qualche mese sto lavorando ad un nuovo albo che pubblicherò a giugno in occasione di un evento che il mio studio di Roma, Co-Co, dedicherà a Just Indie Comics, sito che raccoglie i fumetti più interessanti dell’autoproduzione internazionale. A breve uscirà anche un’antologia prodotta in Svezia da CBK Comics (C’est Bon Kultur) che raccoglierà tra le altre anche una mia storia e ne sono molto felice perché desidero ampliare la portata del mio lavoro e pubblicare all’estero è stimolante, mi permette di conoscere autori nuovi e diversi rispetto a ciò che vedo in Italia. Contemporaneamente mi auguro che “Un pezzetto alla volta…” possa continuare a svilupparsi attraverso nuovi allestimenti in spazi sempre più grandi. Vorrei raccogliere tutto il lavoro di ricerca di quest’anno in un progetto più strutturato in cui sia la componente installativa che quella sonora possano ampliarsi.
Si conclude l’intervista parlando del Ratatà e della sua precedente esperienza.
Sono stata al Ratatà l’anno scorso per la prima volta e lo ritengo uno dei festival dedicati al disegno più importanti che abbiamo in Italia sia per la sua internazionalità che per il raccogliere le proposte migliori del panorama dell’autoproduzione nostrana. Mi auguro davvero possa diventare un festival centrale per chi produce o si autoproduce, ma anche per tutti gli appassionati che per fortuna aumentano.
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